sabato 8 giugno 2013

Etica e sanità: un articolo di Carla Collicelli

Una sanità disfunzionale anche per mancanza di etica. Di Carla Collicelli
Che in Italia il problema "corruzione" sia più grave che in altri contesti dell'area industrializzata, è cosa nota. Lo afferma Transparency, ma lo confermano anche dati più "nostrani", quelli ad esempio di Eurobarometro, secondo cui quote superiori al 90% dei cittadini italiani, contro valori attorno al 60-70% del resto dell'Europa, dichiarano che la corruzione è presente nelle istituzioni nazionali, locali e regionali, nonché nella cultura imprenditoriale.
Secondo recenti rilevazioni del Censis, il 43,1% degli italiani attribuisce addirittura le cause della crisi economica alla "crisi morale della politica ed alla corruzione", più che al debito pubblico (26,6%) o ad altri fattori. Al terzo posto, inoltre, viene indicato un altro elemento che ha a che fare con l'etica, l'evasione fiscale (24,8%). La sensibilità nei confronti dell'argomento "corruzione ed etica pubblica", che è diventata particolarmente alta negli ultimi mesi, è certificata anche dalla percezione diffusa che siamo di fonte a quello che il Censis ha chiamato "il rischio di uno smottamento etico": quote elevate di cittadini hanno infatti la sensazione che la situazione, invece di migliorare, stia peggiorando, in termini di comportamenti scorretti per fare carriera (64,1%), evasione fiscale (58,6%), accettazione di affari di dubbia committenza (59,8%), pagamento di tangenti ( 55,1%).
Ma quanto di tutto ciò ha a che fare con la sanità? I dati a questo proposito scarseggiano, ma la Corte dei Conti ha recentemente scritto che gran parte della corruzione del paese si annida "nei lavori pubblici e nella materia sanitaria". E nonostante le Commissioni del Senato e della Camera, costituite ad hoc per affrontare le disfunzioni in sanità, non abbiano ancora prodotto risultati utili a capire le dimensioni e le caratteristiche del fenomeno, il sottosegretario Cardinale ha recentemente affermato che  le dimensioni del malaffare in sanità siano stimabili in 60 miliardi annui.
E' facile comprendere che, nell'affrontare la questione dell'etica in sanità, sussistano non poche preoccupazioni, derivanti dalla compresenza di due aspetti importanti ed in parte contrastanti tra loro. Da un lato il fatto che, finita l'epoca delle "vacche grasse" ed avviata la fase della spending review e dei Piani di rientro, tutti ormai convengano sulla posizione per cui il sistema sanitario non possa più permettersi di sprecare risorse, sia che lo spreco derivi da negligenza che da corruzione. Dall'altro lato comprensibili remore rispetto ad un approccio severo al tema riguardano la convinzione, suffragata da dati, che la sanità italiana continui ad essere, nonostante le difficoltà, uno dei settori che funzionano meglio nel paese, e che molti operatori e dirigenti si impegnino con grande coraggio e dedizione nel farla funzionare, e non vadano ingiustamente colpevolizzati. I due fattori devono trovare però una doverosa conciliazione e convergenza in un atteggiamento, saggiamente critico e responsabile, di individuazione, penalizzazione ed eliminazione delle sacche di corruzione o di comportamento scarsamente etico, laddove esse esistono. Questo chiede il paese, visto che il maggiore ostacolo al miglioramento dei servizi sanitari pubblici viene individuato da un campione di popolazione italiana nel "malcostume di politici e amministratori" con una quota del 38,6% (indagine Censis 2012), seguito dalla "pressione e gli interessi dei privati" (32,6%), e solo a grande distanza da altri elementi relativi alla competenza degli operatori ed alle richieste dei pazienti. E visto che  tra i ricoverati è molto o abbastanza diffusa la sensazione  che altri "pazienti ricevano trattamenti di favore"  nel corso della degenza (9,4%), e nel corso del ricovero (9,4% nella media italiana e 16,6% nel sud e nelle isole).Transparency registra nel caso dell'Italia anche un 10% di cittadini che ricordano di aver pagato oltre il dovuto per accedere ad uno o più servizi sanitari. Ancora: la frequenza di casi di "malasanità" nella propria zona è ritenuta alta o abbastanza alta dal 24,4% degli italiani (41,7% nel sud e nelle isole), sempre secondo il Censis (indagine Ccm-Ministero della salute del 2010). La possibilità che un paziente ricoverato possa subire un grave errore medico è molto o abbastanza alta secondo  il 30,3% (48,9% nel sud e nelle isole).
Come affrontare il problema? Tutti concordano, come è ovvio che sia, che occorre individuare, isolare e sanzionare coloro che si macchiano di atti illegali, e i tanti fatti di cronaca giudiziaria che, soprattutto nell'ultimo periodo, sono stati portati alla ribalta ci confermano che le azioni di denuncia e giudizio sono frequenti da qualche tempo a questa parte. Il dibattitto sollevato da Ispe Sanità (Istituto per la promozione dell'etica in sanità) mercoledì 23 gennaio 2013 nella Sala del Consiglio della Camera di Commercio di Roma intende, però, richiamare la attenzione sulla necessità di promuovere una coscienza etica diffusa, che operi nel senso di una responsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti rispetto agli obiettivi collettivi - costituzionali, scientifici e professionali - che riguardano il settore della sanità. Consapevoli del fatto che è soprattutto del malcostume diffuso, più che della grande corruzione, che soffrono i cittadini, ed anche che è nel brodo di coltura della irresponsabilità morale quotidiana che trovano facile terreno di sviluppo le forme di grande corruzione. Da cui la necessità di studiare un Piano di fronteggiamento della mancanza di etica collettiva, fatto di analisi per capirne le cause e le modalità, di azioni di empowerement organizzativo, di corretta comunicazione bidirezionale e di educazione realmente formativa, e non solo informativa, nei luoghi deputati.
Il Sole 24 Ore
 

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